Nel Medioevo le colline dell'Oltrepò Pavese erano attraversate dalla
"Via del Sale", preziosa rete di sentieri che portava fino a Genova e
permetteva al popoli più lontani dal mare di procurarsi la preziosa
risorsa, che permetteva la conservazione degli alimenti.
Dopo
la caduta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno, il Sacro Romano
Impero costituì i feudi imperiali con lo scopo di mantenere un passaggio
sicuro verso il mare; assegnò questi territori a famiglie fedeli che
dominarono per secoli questi feudi, controllando le vallate e
garantendo, in cambio di gabelle, la sicurezza dei convogli. Il
trasporto su terreni accidentati veniva effettuato a dorso di mulo
poiché le strette e disagevoli mulattiere che si inerpicavano sui pendii
e nelle valli non permettevano il passaggio di carri.
Il tratto che da Varzi si snoda fino a Genova oggi è un itinerario per chi ha voglia di qualcosa di insolito ed è un grande viaggio alla scoperta di diverse realtà locali. Si possono ammirare chiese, castelli e borghi inseriti in un paesaggio dove tutto è rimasto come allora e percorrere sentieri che si inerpicano tra i boschi in cui capita di scorgere cervi, caprioli, scoiattoli… La Via del Sale si può attraversare a piedi, a cavallo o in mountain bike. Il trekking in Oltrepò pavese presenta un fascino particolare; è un modo suggestivo per vivere una natura ancora incontaminata; per visitare luoghi inconsueti, ma ricchi di storia e, perché no, anche per gustare le specialità locali. Il percorso non presenta particolari difficoltà da affrontare, anche se è da segnalare un certo dislivello di altitudine. Si può dividere il percorso a tappe e sostare nei centri abitati che costeggiano le antiche mulattiere, ristorandosi nelle tipiche locande.
lunedì 21 aprile 2014
venerdì 18 aprile 2014
Varzi
Più a monte, seguendo l'ex Statale del Penice si trova il comune di Varzi.
Di probabile origine ligure, Varzi è noto dal 993, quando era possesso dell'abbazia di San Colombano di Bobbio; in quell'epoca non era che una dipendenza della curtis di Ranzi, attualmente una piccola località nel territorio comunale. Presso Varzi sorgeva l'antica pieve di San Germano, della diocesi di Tortona, da cui dipendevano molti paesi della valle. Come il resto della vallata, cadde sotto il potere dei Malaspina, che ne ebbero regolare investitura nel 1164. Il diploma imperiale non cita ancora Varzi, ma i castelli circostanti. Probabilmente il paese cominciava a svilupparsi grazie ai traffici dei mercanti che, percorrendo la via del sale, dalla pianura risalivano la valle per raggiungere la costa ligure attraverso i passi del Pénice, Brallo e Giovà. La fortuna di Varzi iniziò nel XIII secolo: le successive divisioni ereditarie tra i Malaspina determinarono nel 1221 la separazione tra i Malaspina dello Spino Secco (in Val Trebbia) e dello Spino Fiorito (in Valle Staffora); questi ultimi si divisero nel 1275 tra altre tre linee; il marchese Azzolino, capostipite della linea di Varzi, vi prese dimora, vi fece costruire il castello e fortificò il borgo, facendone il capoluogo di una vasta signoria. Essa comprendeva, oltre che gran parte del comune di Varzi attuale (tranne le frazioni Cella, Nivione e Sagliano che appartenevano al marchesato di Godiasco), il comune di Menconico e parte di quelli di Santa Margherita di Staffora e di Fabbrica Curone. Nel 1320 i Malaspina diedero a Varzi gli Statuti, compilati dal giurisperito cremonese Alberto dal Pozzo.
I Malaspina, seguendo il diritto longobardo che prevedeva la divisione ereditaria tra tutti i discendenti maschi, si suddivisero in molteplici linee, ognuna delle quali aveva poteri sempre più limitati: o su frazioni del territorio (Menconico, Santa Margherita di Staffora, Fabbrica Curone, Pietragavina, Monteforte ecc.) o su quote del capoluogo, che finì per essere amministrato in condominio da una pluralità di marchesi Malaspina, non di rado rissosi e turbolenti. Ne derivò inevitabilmente la rovina del marchesato: non solo dovette riconoscere la supremazia del Duca di Milano, che prese a disporne a proprio piacimento malgrado i diplomi imperiali, ma finì per cadere sotto il dominio di un estraneo, il conte Sforza di Santa Fiora, che dopo aver ottenuto l'investiture del terziere di Menconico in cui si era estinta la locale linea dei Malaspina, a poco a poco acquistò la maggior parte delle quote feudali finendo per essere riconosciuto unico feudatario di Varzi. Ai Malaspina rimaneva solo il titolo di Marchesi, la proprietà del castello e una serie di redditi dispersi e sempre più esigui.
La progressiva rovina dei Malaspina comunque non diminuì la prosperità di Varzi, che rimase il centro dei commerci della valle e uno dei maggiori centri dell'Oltrepò. Il marchesato di Varzi era una delle principali giurisdizioni dell'Oltrepò, cioè uno dei grandi feudi dotati di larga autonomia giudiziaria e fiscale. Nel XVIII secolo, passato ai Savoia nel 1743, fu sede di uno dei tre cantoni giudiziari in cui era divisa la provincia dell'Oltrepò. Il regime feudale ebbe termine nel 1797. In quest'epoca il territorio comunale era molto più piccolo di oggi. All'inizio del secolo successivo furono uniti i soppressi comuni di Bosmenso e Monteforte, che avevano costituito una signoria, nell'ambito della giurisdizione di Varzi, rimasta sempre ai Malaspina.
Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia.
Nel 1872 fu unito a Varzi il comune di Pietra Gavina. Nel 1923 venne smembrato il Circondario di Bobbio e suddiviso fra più province. Nel 1929 vi furono uniti i comuni di Sagliano di Crenna, Cella di Bobbio (in parte, il resto del territorio aggregato a Santa Margherita di Staffora) e Bagnaria (che riacquistò l'autonomia nel 1946).
Dopo l'8 settembre del 1943, come in tutto l'Oltrepò Pavese, si formarono le prime bande partigiane e Varzi divenne, sul finire del settembre del 1944, il centro di una zona libera (le cosiddette 'repubbliche partigiane'), comprendente 17 comuni circostanti. Rimase territorio libero fino al 29 novembre.
- Pietragavina è uno dei castelli citati nel diploma imperiale del 1164; appartenne ai Malaspina di Varzi, poi di una linea detta di Pietragravina, estinta nel XV secolo. Passò allora ai Dal Verme, signori di Bobbio; nel 1723 fu venduto ai Tamburelli di Bagnaria.
- Sagliano apparteneva al Marchesato di Godiasco, ed era feudo di una linea dei Malaspina di Oramala e Godiasco. Nel 1863 ebbe il nome Sagliano di Crenna.
- Cella è nota sin dall'835, quando dipendeva dall'abbazia di Bobbio; è pure uno dei luoghi citati nel diploma imperiale del 1164. Nelle divisioni ereditarie tra i Malaspina toccò al ramo di Godiasco, da cui derivò il ramo dei Malaspina di Cella. Il marchesato di Cella comprendeva una lunga striscia di terra sul lato occidentale della valle Staffora, nei comuni di Varzi e Santa Margherita, con centri quali Nivione, Capo di Selva, Casale, Castellaro, Cegni, Cignolo e Negruzzo. Il marchese Barnabò Malaspina si ribellò agli Sforza nel 1514 e finì squartato a Voghera; il marchesato fu confiscato e dato agli Sforza di Santa Fiora, feudatari di Varzi. Nel XVIII secolo il marchesato comprendeva molti comuni (i centri già citati), che all'inizio del successivo furono concentrati nel comune di Cella, il quale nel 1863 prese il nome di Cella di Bobbio (essendo Bobbio il capoluogo del circondario cui il comune apparteneva).
A breve, il 1 maggio, a Varzi si tiene l'annuale FIERA DI MAGGIO in concomitanza della festa patronale.
Di probabile origine ligure, Varzi è noto dal 993, quando era possesso dell'abbazia di San Colombano di Bobbio; in quell'epoca non era che una dipendenza della curtis di Ranzi, attualmente una piccola località nel territorio comunale. Presso Varzi sorgeva l'antica pieve di San Germano, della diocesi di Tortona, da cui dipendevano molti paesi della valle. Come il resto della vallata, cadde sotto il potere dei Malaspina, che ne ebbero regolare investitura nel 1164. Il diploma imperiale non cita ancora Varzi, ma i castelli circostanti. Probabilmente il paese cominciava a svilupparsi grazie ai traffici dei mercanti che, percorrendo la via del sale, dalla pianura risalivano la valle per raggiungere la costa ligure attraverso i passi del Pénice, Brallo e Giovà. La fortuna di Varzi iniziò nel XIII secolo: le successive divisioni ereditarie tra i Malaspina determinarono nel 1221 la separazione tra i Malaspina dello Spino Secco (in Val Trebbia) e dello Spino Fiorito (in Valle Staffora); questi ultimi si divisero nel 1275 tra altre tre linee; il marchese Azzolino, capostipite della linea di Varzi, vi prese dimora, vi fece costruire il castello e fortificò il borgo, facendone il capoluogo di una vasta signoria. Essa comprendeva, oltre che gran parte del comune di Varzi attuale (tranne le frazioni Cella, Nivione e Sagliano che appartenevano al marchesato di Godiasco), il comune di Menconico e parte di quelli di Santa Margherita di Staffora e di Fabbrica Curone. Nel 1320 i Malaspina diedero a Varzi gli Statuti, compilati dal giurisperito cremonese Alberto dal Pozzo.
La progressiva rovina dei Malaspina comunque non diminuì la prosperità di Varzi, che rimase il centro dei commerci della valle e uno dei maggiori centri dell'Oltrepò. Il marchesato di Varzi era una delle principali giurisdizioni dell'Oltrepò, cioè uno dei grandi feudi dotati di larga autonomia giudiziaria e fiscale. Nel XVIII secolo, passato ai Savoia nel 1743, fu sede di uno dei tre cantoni giudiziari in cui era divisa la provincia dell'Oltrepò. Il regime feudale ebbe termine nel 1797. In quest'epoca il territorio comunale era molto più piccolo di oggi. All'inizio del secolo successivo furono uniti i soppressi comuni di Bosmenso e Monteforte, che avevano costituito una signoria, nell'ambito della giurisdizione di Varzi, rimasta sempre ai Malaspina.
Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia.
Nel 1872 fu unito a Varzi il comune di Pietra Gavina. Nel 1923 venne smembrato il Circondario di Bobbio e suddiviso fra più province. Nel 1929 vi furono uniti i comuni di Sagliano di Crenna, Cella di Bobbio (in parte, il resto del territorio aggregato a Santa Margherita di Staffora) e Bagnaria (che riacquistò l'autonomia nel 1946).
Dopo l'8 settembre del 1943, come in tutto l'Oltrepò Pavese, si formarono le prime bande partigiane e Varzi divenne, sul finire del settembre del 1944, il centro di una zona libera (le cosiddette 'repubbliche partigiane'), comprendente 17 comuni circostanti. Rimase territorio libero fino al 29 novembre.
- Pietragavina è uno dei castelli citati nel diploma imperiale del 1164; appartenne ai Malaspina di Varzi, poi di una linea detta di Pietragravina, estinta nel XV secolo. Passò allora ai Dal Verme, signori di Bobbio; nel 1723 fu venduto ai Tamburelli di Bagnaria.
- Sagliano apparteneva al Marchesato di Godiasco, ed era feudo di una linea dei Malaspina di Oramala e Godiasco. Nel 1863 ebbe il nome Sagliano di Crenna.
- Cella è nota sin dall'835, quando dipendeva dall'abbazia di Bobbio; è pure uno dei luoghi citati nel diploma imperiale del 1164. Nelle divisioni ereditarie tra i Malaspina toccò al ramo di Godiasco, da cui derivò il ramo dei Malaspina di Cella. Il marchesato di Cella comprendeva una lunga striscia di terra sul lato occidentale della valle Staffora, nei comuni di Varzi e Santa Margherita, con centri quali Nivione, Capo di Selva, Casale, Castellaro, Cegni, Cignolo e Negruzzo. Il marchese Barnabò Malaspina si ribellò agli Sforza nel 1514 e finì squartato a Voghera; il marchesato fu confiscato e dato agli Sforza di Santa Fiora, feudatari di Varzi. Nel XVIII secolo il marchesato comprendeva molti comuni (i centri già citati), che all'inizio del successivo furono concentrati nel comune di Cella, il quale nel 1863 prese il nome di Cella di Bobbio (essendo Bobbio il capoluogo del circondario cui il comune apparteneva).
A breve, il 1 maggio, a Varzi si tiene l'annuale FIERA DI MAGGIO in concomitanza della festa patronale.
domenica 13 aprile 2014
Castello di Zavattarello
Il territorio comunale di Zavattarello è situato in Val Tidone, il centro storico è inserito di Borghi Più Belli d'Italia ed è diventato un'importante meta turistica.
STORIA DEL CASTELLO DAL VERME
STORIA DEL CASTELLO DAL VERME
Il castello di Zavattarello, arroccato su un possente sperone di
roccia arenarica a guardia delle valli dei torrenti Morcione e Tidone,
fu protagonista di numerose vicende storiche e di importanti fatti
d’arme.
Esso fu innalzato, probabilmente per volere del monastero milanese di S. Ambrogio, a difesa del territorio circostante. I primi documenti sul borgo di Zavattarellum risalgono al secolo X, quando l’imperatore Ottone I lo cedette in feudo al potente monastero di S. Colombano di Bobbio. Il borgo, lungamente conteso tra Bobbio e Piacenza, passò nel 1169 sotto il controllo di quest’ultima.
Nel 1327 il feudo fu concesso dall’imperatore Lodovico il Bavaro al nobile di origini piacentine Manfredo Landi, responsabile della ricostruzione e dell’ampliamento del castello, conferendogli la struttura che è arrivata fino a noi.
Nel 1358 il castello fu sede di uno storico incontro promosso dal duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, tra le famiglie Landi e Beccaria, che sfociò nella Lega di Voghera contro Pavia, colpevole, tra le altre cose, di aver aiutato Giovanni di Monferrato a sottrarre ai Visconti alcuni possedimenti piemontesi, fra cui Asti.
Nel 1390 feudo e castello divennero proprietà a una potente famiglia di condottieri, i Dal Verme, che mantennero la proprietà quasi ininterrottamente fino al 1975, anno in cui la stessa famiglia lo cedette al Comune di Zavattarello.
Durante la guerra di Successione Austriaca, nel 1747, il castello fu seriamente danneggiato da un forte incendio appiccato dai soldati francesi e solo nel 1895 venne restaurato dal conte Carlo Dal Verme. Ma le vicissitudini del castello non erano terminate: nel 1944, infatti, esso fu nuovamente danneggiato e saccheggiato dalle truppe tedesche.
Dal 1987 il Castello è stato oggetto di una estesa opera di recupero da parte dell’amministrazione comunale, terminata negli ultimi anni: oggi il complesso è interamente visitabile e, dal 2003, ospita anche un Museo d'arte contemporanea.
DESCRIZIONE
Esso fu innalzato, probabilmente per volere del monastero milanese di S. Ambrogio, a difesa del territorio circostante. I primi documenti sul borgo di Zavattarellum risalgono al secolo X, quando l’imperatore Ottone I lo cedette in feudo al potente monastero di S. Colombano di Bobbio. Il borgo, lungamente conteso tra Bobbio e Piacenza, passò nel 1169 sotto il controllo di quest’ultima.
Nel 1327 il feudo fu concesso dall’imperatore Lodovico il Bavaro al nobile di origini piacentine Manfredo Landi, responsabile della ricostruzione e dell’ampliamento del castello, conferendogli la struttura che è arrivata fino a noi.
Nel 1358 il castello fu sede di uno storico incontro promosso dal duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, tra le famiglie Landi e Beccaria, che sfociò nella Lega di Voghera contro Pavia, colpevole, tra le altre cose, di aver aiutato Giovanni di Monferrato a sottrarre ai Visconti alcuni possedimenti piemontesi, fra cui Asti.
Nel 1390 feudo e castello divennero proprietà a una potente famiglia di condottieri, i Dal Verme, che mantennero la proprietà quasi ininterrottamente fino al 1975, anno in cui la stessa famiglia lo cedette al Comune di Zavattarello.
Durante la guerra di Successione Austriaca, nel 1747, il castello fu seriamente danneggiato da un forte incendio appiccato dai soldati francesi e solo nel 1895 venne restaurato dal conte Carlo Dal Verme. Ma le vicissitudini del castello non erano terminate: nel 1944, infatti, esso fu nuovamente danneggiato e saccheggiato dalle truppe tedesche.
Dal 1987 il Castello è stato oggetto di una estesa opera di recupero da parte dell’amministrazione comunale, terminata negli ultimi anni: oggi il complesso è interamente visitabile e, dal 2003, ospita anche un Museo d'arte contemporanea.
DESCRIZIONE
Il castello, in contatto visivo con altri castelli della zona,
quali quelli di Montalto Pavese, Rocca de’ Giorgi, Romagnese, Valverde,
Trebecco e Pietragavina, è impostato su uno zoccolo scarpato e l’accesso
è consentito, sul lato nord, da una pusterla preceduta da un ponte
levatoio raggiungibile a sua volta tramite una scala esterna.
La pianta del castello è a poligono irregolare, per meglio adattarsi alla morfologia del terreno. La struttura muraria, il cui spessore raggiunge in alcuni punti i 4 metri, è costituita da blocchi squadrati di pietra locale di colore bruno intenso. Nell’angolo sud-orientale è collocata l’imponente torre maestra, che rappresenta l’elemento difensivo più importante di tutta la struttura.
Le facciate dell’intero complesso sono sobrie e imponenti e presentano alcuni particolari architettonici di pregio: una finestra settecentesca, una loggetta ad archi, la cornice del tetto e il portale dell’antico ingresso, impreziosito da un affresco rappresentante un drago avvinghiato ad un albero di mele sul quale è posata un’aquila pronta all’attacco. L’affresco è accompagnato dal motto “Praeda vigil vigilataque poma” ossia “La preda è vigile e i suoi frutti sono custoditi”, quasi a voler distogliere dall’attacco i possibili assalitori. Al centro del castello si apre una grande corte, i cui lastroni della pavimentazione sono di epoca settecentesca.
Il ricetto fortificato era sede di una delle principali scuole di guerra di tutta l'Europa, fondata da Jacopo Dal Verme in quello che poi sarebbe divenuto il cardine dello Stato Vermesco.
Il maniero è interamente visitabile in tutte le sue circa quaranta stanze, i cui restauri sono terminati da pochissimi anni. L'ultimo piano ospita un Museo d'arte contemporanea e tutta la rocca e il giardino possono ospitare matrimoni, cerimonie, convegni, conferenze.
L'imponente rocca sovrasta il borgo antico abbarbicato sulla collina, che una volta era completamente priva di vegetazione per consentire ai difensori del maniero di avvistare ogni malintenzionato. Oggi invece il verde che attornia il castello è un'area protetta, un Parco Locale di Interesse Sovracomunale di circa 79 ettari, di grande rilevanza paesaggistica, geografica, orografica, oltre che storica e ambientale.
La pianta del castello è a poligono irregolare, per meglio adattarsi alla morfologia del terreno. La struttura muraria, il cui spessore raggiunge in alcuni punti i 4 metri, è costituita da blocchi squadrati di pietra locale di colore bruno intenso. Nell’angolo sud-orientale è collocata l’imponente torre maestra, che rappresenta l’elemento difensivo più importante di tutta la struttura.
Le facciate dell’intero complesso sono sobrie e imponenti e presentano alcuni particolari architettonici di pregio: una finestra settecentesca, una loggetta ad archi, la cornice del tetto e il portale dell’antico ingresso, impreziosito da un affresco rappresentante un drago avvinghiato ad un albero di mele sul quale è posata un’aquila pronta all’attacco. L’affresco è accompagnato dal motto “Praeda vigil vigilataque poma” ossia “La preda è vigile e i suoi frutti sono custoditi”, quasi a voler distogliere dall’attacco i possibili assalitori. Al centro del castello si apre una grande corte, i cui lastroni della pavimentazione sono di epoca settecentesca.
Il ricetto fortificato era sede di una delle principali scuole di guerra di tutta l'Europa, fondata da Jacopo Dal Verme in quello che poi sarebbe divenuto il cardine dello Stato Vermesco.
Il maniero è interamente visitabile in tutte le sue circa quaranta stanze, i cui restauri sono terminati da pochissimi anni. L'ultimo piano ospita un Museo d'arte contemporanea e tutta la rocca e il giardino possono ospitare matrimoni, cerimonie, convegni, conferenze.
L'imponente rocca sovrasta il borgo antico abbarbicato sulla collina, che una volta era completamente priva di vegetazione per consentire ai difensori del maniero di avvistare ogni malintenzionato. Oggi invece il verde che attornia il castello è un'area protetta, un Parco Locale di Interesse Sovracomunale di circa 79 ettari, di grande rilevanza paesaggistica, geografica, orografica, oltre che storica e ambientale.
domenica 6 aprile 2014
I due Comuni di Salice Terme: Rivanazzano e Godiasco
Salice Terme è una frazione divisa tra due comune, Rivanazzano a valle e Godiasco a monte.
Si notano: nella piazza del Municipio una curiosa torricella esagonale in mattoni e sulla facciata della Chiesa Parrocchiale di San Germano un affresco ottocentesco di R. Gambini. All'interno, nell'abside, San Germano che crescina Santa Genoveffa e sulla parete destra Morte del Giusto di P. Borroni.
Il borgo antico di Nazzano sull'alto di un colle (340 m.s.l.m.) ora coltivato a vigna, che domina l'ingresso della valle, ebbe il castello, già documentato a partire dall'XI secolo, rafforzato da Galeazzo II Visconti (1360). L'edificio, tuttora ben conservato anche perché restaurato all'inizio del '900, si presenta come una salda struttura monoblocco con un'alta torre quadrata, merlatura e basamento a scarpata. Da vedere anche la settecentesca Villa San Pietro, con giardino all'italiana e bel parco. Splendido il panorama che si gode dal belvedere presso la canonica, con lo sguardo che può spaziare sulla Pianura Padana e sulle Alpi, dalle COzie al Bernina.
RIVANAZZANO
Nota nell'alto medioevo come Vicus Lardarius per gli allevamenti di suini, prese il nome da Ripa Nazzanus, cioè riva di Nazzano che era il caposaldo naturale allo sbocco della Valle Staffora nella pianura vogherese.Si notano: nella piazza del Municipio una curiosa torricella esagonale in mattoni e sulla facciata della Chiesa Parrocchiale di San Germano un affresco ottocentesco di R. Gambini. All'interno, nell'abside, San Germano che crescina Santa Genoveffa e sulla parete destra Morte del Giusto di P. Borroni.
Il borgo antico di Nazzano sull'alto di un colle (340 m.s.l.m.) ora coltivato a vigna, che domina l'ingresso della valle, ebbe il castello, già documentato a partire dall'XI secolo, rafforzato da Galeazzo II Visconti (1360). L'edificio, tuttora ben conservato anche perché restaurato all'inizio del '900, si presenta come una salda struttura monoblocco con un'alta torre quadrata, merlatura e basamento a scarpata. Da vedere anche la settecentesca Villa San Pietro, con giardino all'italiana e bel parco. Splendido il panorama che si gode dal belvedere presso la canonica, con lo sguardo che può spaziare sulla Pianura Padana e sulle Alpi, dalle COzie al Bernina.
SALICE TERME
Già nota come Sales ai Romani che gradivano le facoltà curative delle sue acque, è ancora oggi un'importante stazione termale, collocata in un ampio parco con monumenti ai medici E. Brugnatelli e A. De Vincenti, propugnatori delle cure con acque termali. Molte ville e diversi edifici liberty di inizio '900 consentono di respirare, tra molte costruzioni moderne, l'atmosfera un po' fané della cosidetta Belle Epoque.
GODIASCO
Ne è stata ipotizzata l'identificazione con Caudaici, citato nella Tabula Alimentaria di Velleia; certo fu feudo dei Malaspina che lo fortificarono e di cui resta il molto alterato Palazzo che conserva il portale (1594) con architrave scolpito e cariatidi. In esso sostò il cardinale Giovanni De' Medici (futuro papa Leone X), liberato dalla prigionia dei francesi con un colpo di mano degli Isimbardi durante il passaggio a Pieve del Cairo. Barnabò Malaspina, che aveva partecipato all'impresa, fu poi catturato da Massimiliano Sforza e squartato vivo sulla pubblica piazza di Voghera. Anche il cardinale Alberoni, che nel 1719 fuggiva dalla Spagna ed era diretto alla natia Parma , trovò ospitalità in questo castello, nei cui pressi si trova anche un bell'edificio cinquecentesco abbellito da un armonioso cortiletto porticato, con al centro un pozzo sormontati da una statua secentesca,
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